La regolarità degli immobili



pubblicato su Ediltecnico in data 3 giugno 2021.

Gli abusi edilizi

Ribadiamo che lo scopo dei nostri articoli è quello di diffondere una nuova metodologia per la determinazione del corretto costo delle opere edilizie e di evidenziare le possibili implicazioni di carattere economico, che, se pur apparentemente non collegate al costo delle opere, risultano invece determinanti in tal senso.

Uno dei tanti aspetti che il proprietario deve considerare è la regolarità o meno del proprio immobile, che - come già evidenziato nel testo principale del nostro articolo - deve riguardare gli aspetti urbanistico, tecnico ed igienico-sanitario.

Aspetto urbanistico

La possibilità di rendere conforme urbanisticamente un immobile, che presenti irregolarità, è ammessa dall'attuale ordinamento italiano grazie alla procedura prevista dagli articoli 36 e 37 del D.lgs 380/2001 e da diverse leggi regionali.

Per poter essere certi che il proprio immobile sia urbanisticamente in regola, ossia conforme al progetto che ne ha permesso la sua edificazione, occorre fare una complessa ed articolata ricostruzione storico-temporale che potremmo suddividere in due fasi chiamate, per praticità, FASE 1 e FASE 2.

Adempimenti della FASE 1:

  • accertare l'epoca di costruzione;
  • individuare gli interventi edilizi effettuati dopo la prima edificazione, attribuendone possibilmente la data di esecuzione;
  • ricercare ed individuare i titoli edilizi conseguiti per tali interventi;
  • accertare l'iscrizione in catasto di primo impianto dell'immobile ed eventuali successive variazioni;
  • verificare se l'immobile sia stato oggetto o meno di pratiche di condono edilizio che ricordiamo essere state procedure straordinarie limitate nel tempo;
  • verificare se l'immobile sia stato oggetto di eventuali sanatorie urbanistiche di tipo ordinario, procedure queste a tutt'oggi ancora possibili solo in determinati casi;
  • verificare se siano presenti pratiche edilizie (condoni, sanatorie ordinarie, pratiche non rientranti nella sfera delle sanatorie) ancora aperte dovute ad inefficienza della Pubblica Amministrazione o se viceversa ciò dipenda da inadempienza del proprietario dell'immobile;
  • accertare l'evoluzione temporale delle norme di legge regionali e statali e dei regolamenti comunali durante l'arco di vita dell'immobile;
  • accertare la presenza o meno e l'evoluzione di vincoli paesaggistici e/o monumentali, idrogeologici, infrastrutturali ecc. ai quali l'immobile è stato ed è sottoposto;
  • verificare lo stato di conservazione dell'immobile per accertare se le condizioni siano tali da pregiudicare l'uso dello stesso e la pubblica incolumità;
  • accertare le cause che hanno prodotto, e che producono, uno stato di degrado tale da ricondurre la situazione di cui al punto precedente;
  • verificare la presenza o meno del certificato di abitabilità/agibilità;
  • ecc. ecc.

Queste prime approfondite analisi e la ricostruzione storica eseguite dal proprietario tramite l'assistenza di un tecnico di propria fiducia, costituiscono le basi per procedere al raffronto dello stato di fatto dell'immobile con quanto è emerso dalle ricerche e dalla relativa ricostruzione documentale.

Adempimenti della FASE 2

La Fase 2 va attuata solo quando a seguito della Fase 1 siano emerse irregolarità riguardanti uno o più dei tre aspetti da considerare, ossia quello urbanistico, quello tecnico e quello igienico-sanitario.

È opportuno che il proprietario non indugi ad intraprendere tutte le attività necessarie in quanto le responsabilità che gravano sullo stesso rimangono latenti fino a quando si verificano una o più determinate circostanze che mettono in luce le criticità presenti.

L'esempio classico si ha quando si vuole vendere il proprio immobile con una certa celerità: in tal caso le attività omesse o tralasciate a debito tempo, devono essere eseguite frettolosamente, con il rischio di procedere in modo non corretto o di perdere l'opportunità di una vendita che sarebbe stata un'occasione od una necessità per il proprietario.

La modalità di svolgimento della Fase 2 non è delineabile preventivamente in quanto riflette, inevitabilmente, tutte le possibili variabili dello stato dell'immobile, dall'aspetto urbanistico, a quello tecnico ed a quello igienico- sanitario.

Possiamo però dare alcune indicazioni di tipo indiretto su cosa si debba fare e su come si debba svolgere la Fase 2.

Gli albori dell'urbanistica

In generale la regolamentazione urbanistica delle città e del territorio ha incominciato a prendere forma tra la seconda metà dell'ottocento e la prima del novecento; è con l'emanazione della Legge 20 marzo 1865, n. 2248 che fu consentito ai Comuni di dotarsi dei regolamenti di igiene, edilità e polizia locale.

Il successivo Regolamento di Attuazione (R.D.L. 8 giugno 1865, n. 2321) considerò elemento fondamentale del Regolamento edilizio il Piano Regolatore considerato lo strumento di pianificazione di strade, di piazze, di allineamenti, ecc. ecc.

Invece, la successiva Legge 25 giugno 1865 n.2359, che avrebbe dovuto costituire, tra le altre cose, anche un riferimento importante di carattere urbanistico, non ebbe una grande applicazione per varie ragioni che in questa sede non riteniamo opportuno menzionare: ciò determinò l'attenzione delle Pubbliche Amministrazioni verso lo strumento del Regolamento Edilizio che dettava norme regolatrici dell'attività edilizia principalmente dal punto di vista dell'estetica e dell'igiene.

Diversi decenni dopo, con l'approvazione della Legge 23 dicembre 1935 n.2471 venne introdotto per la prima volta l'obbligo di richiedere l'autorizzazione per attività di tipo edificatorio all'interno dei centri urbani, obbligo che da lì a poco fu esteso a tutto il territorio comunale a seguito dell'approvazione della Legge 25 aprile 1938, n. 710. L'attività edilizia, divenuta obbligatoriamente soggetta ad autorizzazione, divenne inoltre passibile di provvedimenti di sospensione o di demolizione dei lavori, laddove questi fossero stati iniziati o completati in violazione delle predette norme.

Precisiamo che l'articolo 3 della Legge n.710 anzi richiamata stabilì inoltre inderogabilmente che i Comuni inserissero nel regolamento edilizio l'obbligo di richiesta di autorizzazione da parte di coloro che intendessero eseguire nuove costruzioni o modificare ed ampliare quelle esistenti.

Da quanto sopra si potrebbe quindi evincere che, successivamente all'entrata in vigore della suddetta Legge, gli interventi edilizi eseguiti senza titolo nell'ambito dei Comuni che inserirono nel proprio regolamento edilizio l'obbligo di richiedere l'autorizzazione ad edificare, fossero da considerarsi abusi edilizi, rimanendo di converso soggetti ad una sorta di “attività di edilizia libera” negli altri casi.

A fare chiarezza nel merito, anche se a nostro avviso solo in parte, è intervenuta a distanza di quasi cinquant'anni la Legge 47/85 che introdusse il primo condono edilizio in Italia, disponendo all'art. 31 ultimo comma quanto segue:

“Per le opere ultimate anteriormente al 1° settembre 1967 per le quali era richiesto, ai sensi dell'art. 31, primo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e dei regolamenti edilizi comunali, il rilascio della licenza di costruzione, i soggetti di cui ai commi primo e terzo del presente articolo conseguono la concessione in sanatoria previo pagamento, a titolo di oblazione, della somma determinata a norma dell'articolo 34 della presente legge”.

Tale comma cita quindi anche i regolamenti edilizi quali strumenti di regolamentazione dell'attività edilizia, senza però riferirli ad un meglio specificato periodo e lasciando quindi aperta una finestra temporalmente indefinita retroattiva al 1° settembre 1967.

In tal senso intervenne, quindi, il Ministero dei Lavori Pubblici che con la circolare n. 3357/25 del 30 luglio 1985 espressamente chiarì che: “non si tratta di opere abusive le costruzioni realizzate prima dell'entrata in vigore della legge urbanistica del 1942 nei comuni nei quali il regolamento edilizio non prescriveva l'obbligo della licenza edilizia”.

Tale chiarimento ha fatto si che tutt'oggi sia i tecnici del settore che gli autorevoli esperti di diritto amministrativo concordino sul fatto che un'opera edilizia eseguita antecedentemente all'entrata in vigore della L.1150/42, senza che sia stato conseguito un titolo edilizio o in difformità da questo, debba considerarsi legittima se il Comune nel cui ambito territoriale l'opera fu eseguita non prevedeva nel regolamento edilizio l'obbligo di richiederne l'autorizzazione.

Pur condividendo nelle linee essenziali tale tesi, tra l'altro suffragata dall'autorevole circolare 3357/25 del Ministero dei Lavori Pubblici, non possiamo non mostrare alcune perplessità per le opere eseguite nell'intervallo temporale che va dall'entrata in vigore del R.D 25 marzo 1935 n.640, poi convertito nella Legge 23 dicembre 1935 n.2471, al 30 ottobre 1942, giorno precedente all'entrata in vigore della Legge 1150/42.

Infatti, il R.D.L 25 marzo 1935 n.640 stabilì l'obbligatorietà di richiedere l'autorizzazione per gli interventi edilizi che fossero da realizzarsi all'interno dei centri urbani, senza nulla dire in merito al recepimento della legge nei rispettivi regolamenti edilizi comunali. Successivamente, il R.D.L. 22 novembre 1937 n.2105 (convertito nella Legge 25 aprile 1938 n.710) estese l'obbligo di richiedere l'autorizzazione per l'esecuzione delle opere edilizie su tutto il territorio comunale, con la precisazione questa volta, all'articolo 3 della Legge n.710, che i Comuni erano tenuti, senza possibilità di deroghe, ad inserire nel proprio regolamento edilizio l'obbligo di richiesta dell'autorizzazione per l'esecuzione di nuovi interventi edilizi o di modifiche al patrimonio edilizio esistente.

Concludiamo quindi, questa nostra riflessione, osservando che la richiamata circolare del Ministero dei Lavori Pubblici ha sottoposto la legittimità degli interventi edilizi realizzati prima della legge 1150/42 al fatto che gli stessi fossero conformi al regolamento edilizio del Comune, quando presente, con l'implicita prerogativa del potere di discrezionalità del Comune di inserire all'interno del Regolamento l'obbligo di richiedere l'autorizzazione per l'attività edificatoria.

Nel caso del periodo temporale evidenziato, invece, l'obbligo di regolare l'attività edilizia tramite il Regolamento Edilizio non fu più una facoltà di scelta come in precedenza, ma divenne per il Comune un obbligo che si trasmutava inevitabilmente sul cittadino il quale doveva munirsi della relativa autorizzazione per eseguire i lavori edilizi allo stesso necessari.

Questo obbligo, a nostro avviso, è perdurato sino all'entrata in vigore della legge 1150/42, indipendentemente dall'inserimento di tale disposizione nel Regolamento Edilizio che il Comune era obbligato ad effettuare.

Ecco quindi il motivo per cui risulta oggi necessario spingere le ricerche d'archivio sino a quasi un secolo addietro, e non deve meravigliare se eventuali discordanze tra il progetto di allora e lo stato attuale di oggi debbano essere sanate stante il principio consolidato della non prescrizione amministrativa dell'abuso edilizio.

A mitigare le eventuali preoccupazioni del proprietario che può vedere messa in discussione la legittimità del proprio immobile a distanza di quasi un secolo, viene in soccorso la più che probabile evanescente documentazione di allora, priva di elaborati, che - se pur eventualmente presenti - sarebbero scarsamente rappresentativi a livello probatorio della consistenza e dell'aspetto complessivo dell'immobile.

In tali casi, ed in assenza di ulteriori successivi progetti regolarmente approvati o di eventuali condoni edilizi, è opportuno ricorrere come documentazione dello stato legittimo alle planimetrie catastali di primo impianto susseguenti all'entrata in vigore del NCEU (Nuovo Catasto Edilizio Urbano) avvenuta nel 1939.

La prima fondamentale legge urbanistica

Nel 1942 viene approvata la prima importante e strutturale legge urbanistica e precisamente la Legge n. 1150 del 17 agosto 1942: questa sancisce all'art.31 l'obbligo di munirsi della licenza edilizia per gli interventi di nuova costruzione o di modifica dell'esistente solo all'interno dei centri urbani o nelle zone di espansione previste nei Piani Regolatori, rimanendo libera la possibilità di edificare sul restante territorio contrariamente a quanto aveva invece stabilito R.D.L. 22 novembre 1937 n.2105 convertito in legge 25 aprile 1938 n.710.

Quindi, esaminando il periodo antecedente all'entrata in vigore della Legge 1150/42 e tenendo conto delle considerazioni esplicitate nel paragrafo precedente, possiamo ritenere, pur con il beneficio del dubbio sull'interpretazione delle norme da noi fornita, che vi sia difformità urbanistica dell'immobile per la non corrispondenza allo stato di fatto quando:

  • si trovi all'interno o fuori dal centro urbano nel quale era vigente allora un Regolamento edilizio che disponeva l'obbligo di richiedere l'autorizzazione ad eseguire l'intervento;
  • si trovi all'interno di un centro urbano e il comune all'epoca non disponeva di un regolamento edilizio che obbligasse la richiesta di una autorizzazione, ma l'attività edificatoria è avvenuta successivamente all'entrata in vigore della Legge 23 dicembre 1935 n. 2471;
  • si trovi fuori dal centro urbano e il comune non disponeva di un regolamento edilizio che obbligasse alla richiesta di una autorizzazione ma l'attività edificatoria è avvenuta successivamente all'entrata in vigore della Legge 25 aprile 1938 n. 710.

Quanto sopra a condizione ovviamente che l'immobile non sia stato successivamente soggetto al rilascio di altri titoli edilizi, a condoni od a sanatorie di tipo ordinario che abbiano regolarizzato la situazione.

Il periodo di transizione dal 1942 al 1967

Dopo l'entrata in vigore della L.1150/42 tutte le costruzioni all'interno dei centri urbani dovevano essere eseguite previo rilascio della Licenza Edilizia, rimanendo escluse da tale obbligo tutte le costruzioni edificate fuori dai centri urbani presenti in pratica nelle zone agricole.

L'obbligo della licenza fu poi esteso a tutto il territorio e, quindi, anche nelle zone agricole a seguito dell'entrata in vigore della Legge 765/67 c.d “Legge Ponte”, così chiamata in quanto avrebbe dovuto rappresentare il passaggio ad una riforma urbanistica complessiva nuova rispetto all'impianto del 1942.

Accertare la legittimità di un fabbricato in zona agricola esistente prima dell'entrata in vigore della L.765/67 può in alcuni casi risultare difficile in quanto;

  • non vi era l'obbligo di richiedere la licenza edilizia, salvo che questo non fosse disposto da specifici regolamenti comunali;
  • non si possono reperire le planimetrie catastali dell'epoca in quanto l'obbligo delle stesse vigeva a partire dal 1939 solo per i fabbricati urbani.

Prassi consolidata è, ed stata, quella di visionare le cartografie derivanti dalle foto aree eseguite o dall'I.G.M. (Istituto Geografico Militare) o da cartografia tecnica regionale; in entrambi i casi l'efficacia della ricerca dipende dalle annate in cui le foto sono state eseguite e nel caso di foto esistenti solo successivamente al 1967 i dubbi ovviamente rimangono.

Per un proficuo accertamento grande importanza riveste la scala grafica nella quale la cartografia è stata realizzata; in passato la cartografia dell'I.G.M. disponeva di cartografia in scala 1/25000 che non rende certamente agevole l'individuazione e l'apprezzamento della consistenza perimetrale del fabbricato.

Allorquando la documentazione fotografica aerea risulti sufficientemente chiara, occorre porre attenzione all'eventuale esistenza di planimetrie catastali, che, seppure in gran parte mancanti perché non obbligatorie allora per i fabbricati rurali, si possono alcune rare volte rintracciare negli archivi catastali i Modelli 6, oggi superati, con i quali si rappresentavano e si depositavano le grafiche dei vani interni delle abitazioni per documentare le porzioni di immobile soggette ad eventuali trasferimenti di diritti reali sull'immobile stesso.

Più spesso risultano depositate planimetrie catastali, come ancora oggi le conosciamo, di immobili censiti nella categoria catastale A6 (fabbricati rurali) che stanno a testimoniare la consistenza interna dell'immobile, seppure dello stesso non fosse stato necessario richiedere la licenza edilizia.

Nel caso di eventuale differenza dello stato di fatto di un immobile rispetto alle planimetrie suddette che non sono successive al 1° settembre 1967 e ricordando che ci stiamo riferendo alle zone esterne ai centri urbani, è plausibile considerare legittimo tale immobile per l'impossibilità di dimostrare, salvo altri elementi di prova, che le modifiche siano incorse dopo l'entrata in vigore della Legge n.765.

La presenza invece, non inconsueta, di una licenza edilizia difforme dallo stato di fatto, rilasciata dal Comune per l'edificazione ante 67 in zona agricola in difetto di una previsione di un PRG o di un P.F. (programmi di di fabbricazione) o di un Regolamento Edilizio, che perimetrava all'epoca le aree soggette a diverso regime, non può a nostro avviso costituire un abuso edilizio in quanto la licenza, non necessaria in base al regime normativo urbanistico del periodo ora preso in esame, non è di fatto un titolo edilizio efficace.

Ovviamente quanto detto vale nell'ipotesi in cui le discordanze non siano attribuibili ad opere eseguite dopo l'entrata in vigore della L.765/67.

A partire dal 2 settembre 1967 inizia quindi una nuova fase che comporterà per sempre la necessità di doversi munire del titolo edilizio per eseguire gli interventi fuori dai centri urbani nel rispetto dei piani regolatori ove previsti o dei piani di fabbricazione.

Il primo condono edilizio

Per quasi un ventennio, dal 1967 al 1985, l'attività edilizia prosegue assistendo all'introduzione della Legge 10/77 che introduce il titolo edilizio denominato Concessione edilizia, la quale sarà necessaria sia per gli interventi all'interno dei centri urbani che in zona agricola; con l'emanazione della Legge 47/85 fu previsto il primo condono edilizio che permise ai proprietari di regolarizzare gli abusi edilizi presenti sui loro immobili.

Condizione prioritaria, per l’accoglimento della domanda di condono è che l'immobile risultasse ultimato entro il 1° ottobre 1983 con stadio dei lavori al grezzo e relativa copertura, oppure risultare ultimato funzionalmente entro la medesima data nel caso di opere interne di edifici esistenti.

L’accoglimento delle domande di condono o di concessione in sanatoria o di autorizzazione in sanatoria presentate ai sensi della Legge 47/85, se non avveniva in modo espresso dalle amministrazioni comunali, si perfezionava con il cd. “silenzio assenso” decorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda stessa completa, a condizione però che il richiedente avesse adempiuto al pagamento intero dell'oblazione prevista per il caso specifico, salvo naturalmente il rigetto della domanda per incompatibilità con le disposizioni della L. 47/85

A seguito della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria venne altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, a condizione che le opere sanate non risultassero in contrasto con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli infortuni.

Abusi formali e sostanziali

Gli abusi edilizi possono essere suddivisi in due macro famiglie, quelli definiti formali e quelli definiti sostanziali: sono formali quegli abusi ossia quelle differenze riscontrate sul nostro immobile per le quali sarebbe stato possibile ottenere l'autorizzazione a seguito di apposita richiesta; contrariamente sono sostanziali le opere abusive per le quali anche a seguito di richiesta non si sarebbe potuto ottenere l'autorizzazione.

Essere proprietari di un'immobile affetto da abusi sostanziali costituisce una situazione grave in quanto questi abusi possono solo essere rimossi o tramite la demolizione vera e propria o tramite la rimessa in pristino allo stato autorizzato. Il proprietario, nei casi previsti, può di sua iniziativa avviare la procedura dell'accertamento di conformità che consente di pervenire alla regolarizzazione tramite il pagamento di un'apposita sanzione pecuniaria.

Tutti gli abusi edilizi, formali o sostanziali, costituiscono sempre reati che si estinguono o a seguito dell'applicazione della relativa sanzione o per l'istituto della prescrizione che si verifica decorsi o quattro anni dal compimento dell'abuso stesso senza che sia intervenuta una pronuncia di condanna (cd. prescrizione breve) o cinque anni nell'ipotesi in cui sia intervenuto un provvedimento interruttivo del termine stesso (cd. prescrizione ordinaria).

Per poter conseguire la regolarizzazione degli abusi di tipo formale si deve soddisfare il criterio della doppia conformità, ossia ciò che è risultato difforme lo si sarebbe potuto fare con regolare richiesta sia al momento in cui l'abuso è stato commesso sia nel momento in cui si richiede la sanatoria.

A dire il vero diversi orientamenti giurisprudenziali sono inclini a consentire il conseguimento della sanatoria anche nel caso in cui l'abuso risulti conforme alla sola normativa vigente al momento della domanda di sanatoria;di questo aspetto abbiamo fatto un breve cenno in seguito.

Nel caso di abusi sostanziali, che per la loro caratteristica di insanabilità devono essere rimossi tramite demolizione, quest'ultima potrà essere evitata nel caso in cui risulti pregiudizievole per la stabilità della parte di fabbricato eventualmente regolare; in tal caso si può procedere con l'accertamento di conformità allegando un'apposita perizia statica a firma di un tecnico strutturista abilitato.

In Italia vi sono, comunque, altri precedenti che hanno consentito di sanare anche abusi sostanziali: tali

precedenti sono relativi ai tre condoni edilizi di cui più o meno tutti abbiamo sentito parlare e precisamente: quello dell'anno 1985 a seguito della Legge 47/1985, quello del 1994 a seguito della Legge 727/1994 e quello del 2003 a seguito della Legge 326/2003.

I condoni edilizi sono per loro natura provvedimenti di tipo straordinario, validi per un limitato periodo di tempo e che nulla hanno a che vedere con l'accertamento di conformità, che ha invece natura ordinaria.

Le sanatorie ordinarie

La medesima legge istituente il condono edilizio consentì anche, e discutibilmente, il rilascio del certificato di abitabilità/agibilità in deroga alle norme igienico sanitarie, e introdusse per la prima volta nel nostro ordinamento la possibilità di richiedere la concessione edilizia in sanatoria.

Tale possibilità regolata dall'art. 13 L.47/85, venne però limitata ai casi di abusi edilizi riguardanti opere conformi alle norme urbanistiche vigenti al momento dell'abuso e al momento della domanda: in pratica, si introdusse il criterio della doppia conformità tutt'oggi presente ed alla quale abbiamo già fatto cenno poco prima.

La mancanza della doppia conformità delle opere abusive fu invece soggetta al provvedimento di demolizione, demolizione che si sarebbe potuta evitare nel caso in cui con la stessa si sarebbero potuti creare seri pregiudizi per la stabilità della porzione di immobile regolare. In tale ipotesi la sanzione da applicare corrispondeva, per gli immobili residenziali, al doppio del costo di produzione stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dalla concessione.

La verifica di conformità dopo la Legge 765/67

A decorrere dall'entrata in vigore della Legge 765/67 non vi erano più dubbi interpretativi sul fatto che le nuove costruzioni e gli interventi sull'esistente dovessero essere soggetti al rilascio di un titolo edilizio a condizione che non si trattasse di interventi di manutenzione ordinaria o che non vi fosse la presenza di vincoli particolari di tutela comportanti limiti più restrittivi che precludevano la possibilità di ottenere il rilascio di un determinato titolo.

A decorrere dalla predetta data, e fino all'entrata in vigore della Legge 47/85, gli eventuali abusi non potevano essere sanati in quanto soggetti a provvedimenti di demolizione e di rimessa in pristino.

Fatto salvo l'obbligo del rispetto della doppia conformità quale condizione imprescindibile per ottenere la sanatoria e “scampare” quindi al provvedimento di demolizione, ci preme evidenziare che è prevalsa via via la cd. ”sanatoria giurisprudenziale”, possibilità questa sempre più riconosciuta quando le opere eseguite, pur risultando abusive al momento della loro realizzazione, non lo sono al momento in cui si intende ottenere la sanatoria.

In tale ipotesi, infatti, non avrebbe senso disporre la demolizione di un immobile abusivo, in tutto o in parte, per il quale dopo la sua demolizione di potrebbe richiedere la sua edificazione esattamente uguale al precedente per consistenza, estetica, tipologia e destinazione (Consiglio di Stato Sez. VI, 07/05/2009, n.2835), vi sono comunque anche orientamenti opposti a tale principio.

Interventi edilizi non costituenti abusi

Qualsiasi variazione apportata ad una costruzione riguardante la destinazione d'uso, i volumi, le superfici, le altezze, le partizioni interne, le facciate, i distacchi ecc. ecc. non eccedenti la tolleranza del 2% non costituisce a tutti gli effetti un abuso edilizio.

Non costituiscono altresì abuso edilizio le costruzioni e le modifiche sugli immobili esistenti qualora siano state apportate in un periodo durante il quale non fosse necessario richiedere il rilascio di un titolo edilizio; un esempio concreto è costituito dagli immobili ubicati in zona agricola la cui costruzione o modificazione sia intervenuta dopo l'entrata in vigore delle Legge 1150/42 e prima dell'entrata in vigore della Legge 765/67.

Un altro esempio che plausibilmente può non costituire abuso edilizio riguarda tutte le costruzioni eseguite prima dell'entrata in vigore della Legge 1150/42 a condizione che il comune nel cui territorio l'immobile fu costruito non prevedesse nel regolamento edilizio l'obbligo di dotarsi della relativa autorizzazione.

Per gli interventi realizzati prima della Legge 1150/42 all'interno dei centri urbani e per quelli realizzati successivamente all'entrata in vigore del R.D.L 25 marzo 1935 n.640, o realizzati anche fuori dai centri urbani e successivi all'entrata in vigore del R.D.L. 22 novembre 1937 n.2105, si può ipotizzare una loro non conformità in assenza di un titolo edilizio anche qualora il regolamento edilizio non ne disponesse l'obbligo: quanto appena espresso trova una nostra chiave di interpretazione nel precedente paragrafo titolato “Gli albori dell'urbanistica”.

Aspetto tecnico

Per aspetto tecnico intendiamo il rispetto di tutte le norme tecniche di settore alle quali l'immobile deve rispondere ed il rispetto dei requisiti elementari relativi all'igiene ed alla fruibilità delle singole unità immobiliari.

Come deve, quindi procedere, il proprietario di un immobile per tutelare la propria figura preservando nel contempo il valore del proprio immobile?

A questo riguardo è necessario fare un primo fondamentale distinguo tra gli immobili per i quali si sono appena conclusi i lavori di costruzione o di ristrutturazioni e gli immobili esistenti la cui loro costruzione o ristrutturazione è avvenuta in una data sicuramente anteriore a quella di verifica.

Questa distinzione trae la sua logica per il fatto che le rispettive verifiche seguono percorsi completamente diversi tra loro; nel primo caso è “sufficiente” che il Direttore dei Lavori in sede di collaudo finale accerti e asseveri per il deposito della SCA (segnalazione certificata agibilità) che si siano rispettate tutte le disposizioni urbanistiche, tecniche ed igienico sanitarie previste nel progetto in relazione alla loro tipologia e alla destinazione d'uso prevista: ciò a condizione, però, che il progetto sia stato redatto a sua volta nel rispetto di tutte le norme di legge e regolamentari del caso.

Per contro, gli immobili esistenti riguardano tutto il patrimonio già edificato i cui lavori sono stati dichiarati ufficialmente conclusi nel momento in cui intendiamo verificarne la loro regolarità, a prescindere dal fatto che si debba o meno avviare una nuova pratica edilizia.

Verificare la regolarità tecnica di un immobile esistente è una delle operazioni più complesse in assoluto per le innumerevoli variabili da prendere in considerazione, variabili delle quali è anche possibile che si si conosca poco o nulla.

Volendo comunque fare un po' di ordine diciamo che la verifica presuppone la conoscenza esatta di vari fattori quali ad esempio:

  • le norme tecniche di settore vigenti al momento della costruzione e degli eventuali interventi successivi;
  • il rispetto o meno delle predette norme in fase di esecuzione degli interventi edilizi;
  • la conoscenza delle norme di settore da rispettarsi in relazione al tipo di intervento edilizio;
  • la conoscenza delle norme tecniche di settore che prevedevano la loro applicazione in assenza di interventi edilizi;
  • lo stato di conservazione delle strutture in relazione alle prestazioni che l'immobile deve garantire in ottemperanza alle stesse norme tecniche di settore;
  • lo stato di conservazione degli impianti in relazione alla loro funzione ed alla sicurezza in generale;
  • lo stato di conservazione dell'immobile in relazione al naturale fisiologico degrado oltre i limiti accettabili di igiene e salubrità minima ammessa.

È evidente, quindi, che tale verifica sia complessa, lunga e costosa, comportando eventualmente indagini invasive che non è sempre possibile effettuare per la presenza degli occupanti o perché occorre interferire con altre proprietà in aderenza.

Tutto ciò considerato, il consiglio che si può dare, oltre a quello di affidarsi ad un tecnico preparato in grado di coordinare queste operazioni, è quello di stabilire una scala di priorità in base al livello di importanza, così come in linea indicativa suggeriamo :

  • la verifica tecnico strutturale statica e di sicurezza sismica;
  • la verifica del rispetto delle norme antincendio;
  • la verifica dell'impianto elettrico;
  • la verifica dell'impianto termico.

Tale ordine può essere modificato dove situazioni oggettive evidenzino, ad esempio, gravi lacune dell'impianto elettrico o dell'impianto del gas che possono produrre repentine situazioni gravi al punto da mettere a rischi l'incolumità delle persone.

Più in generale, le verifiche possono inoltre riguardare

  • la verifica igienico-sanitaria;
  • la verifica termo-igrometrica e di isolamento termico;
  • la verifica dell'osserva dei requisiti acustici;
  • la irregolare evacuazione dei fumi;
  • l'irregolare deflusso degli scarichi privi del necessario impianto di depurazione quando non convogliati nelle pubbliche fognature;
  • la produzione di rumore da calpestio;
  • l'eccessivo rumore o vibrazioni per impianti mal funzionanti;
  • ecc. ecc.

Indipendentemente dall'ordine di verifica, è importante che il proprietario sia reso consapevole del livello e della tipologia delle responsabilità che gravano sullo stesso, tenendo inoltre presente che responsabilità di amministrativo possono sconfinare nella responsabilità penale a seguito delle conseguenze derivanti, ad esempio, dalla cattiva manutenzione degli impianti con rischi di folgorazione da corrente elettrica o avvelenamento da fughe di gas.

Aspetto igienico sanitario

Il rispetto dello stato igienico-sanitario di un immobile è stato uno dei primi aspetti preso in considerazione agli inizi dell'evoluzione delle norme urbanistiche; per diversi decenni il certificato di abitabilità, oggi chiamato “agibilità”, era strettamente e principalmente legato all'igiene ed alla salubrità delle abitazioni.

Nel corso del tempo tale certificato ha subito diverse evoluzioni passando dall'essere un atto amministrativo espresso rilasciato dalla Pubblica Amministrazione (attestato igienico-sanitario) al divenire un atto concesso per silenzio-assenso (nel 1994, DPR 424) per poi tornare ad essere un atto amministrativo formale espresso (DPR. 380/2001) ed infine un atto di parte, ossia l'asseverazione del Direttore Lavori (nel 2016).

>Nonostante il nome porti a ritenere che la mancanza dell'agibilità costituisca l'impossibilità di utilizzare il relativo immobile, vi sono ancora oggi migliaia di abitazioni prive di tale certificato regolarmente abitate e regolarmente compravendute.

Infatti, secondo l'indirizzo recente giurisprudenziale più autorevole sono ritenuti validi l'atto di compravendita ed il contratto preliminare di compravendita di un'unità immobiliare priva del certificato di agibilità perché la mancata consegna o il mancato rilascio del certificato di agibilità o l'insussistenza delle condizioni perché tale certificato venga rilasciato incidono sul piano dell'adempimento, e non su quello della validità, del contratto. Tale mancanza giustifica l'eventuale pretesa risarcitoria da parte del compratore per la ridotta commerciabilità del bene tranne nell'ipotesi in cui il medesimo rinunci al requisito dell'agibilità o abbia esonerato il venditore dall'obbligo di ottenere la relativa licenza (Corte di Cassazione sentenza 05/06/2020, n.10665),

Oggi, rispetto all'abitabilità del passato il certificato di agibilità ha acquisito una veste molto importante non essendo più “relegato” al solo aspetto igienico sanitario seppure importantissimo, ma al rispetto di altre diverse norme quali:

  • norme sulla sicurezza;
  • norme sulla igiene;
  • norme sulla salubrità;
  • norme sul risparmio energetico;
  • norme sulla sicurezza degli impianti.

Precisiamo che il certificato di agibilità relativo agli edifici esistenti può essere richiesto anche in assenza di lavori come dispone l'art. 7- bis del D.P.R.380/2001, così come novellato dalla Legge 120/2020; dunque, trattasi di richiesta facoltativa pur nella consapevolezza che ogni immobile dovrebbe esserne provvisto.

Tale possibilità facoltativa introdotta dalla legge potrà essere esercitata a condizione che l'immobile sia stato edificato legittimamente, e presenti i requisiti necessari che verranno identificati dal Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione (decreto non ancora predisposto).

A prescindere dai suddetti requisiti, a nostro avviso per il conseguimento dell'agibilità l'immobile deve rispondere alle norme tecniche di settore ed igienico-sanitarie previste al momento della sua edificazione e di eventuali lavori di ristrutturazione, non escludendo inoltre eventuali adeguamenti obbligatori che si dovevano apportare all'immobile indipendentemente da interventi edilizi eseguiti: ad esempio, l'adeguamento dell'impianto elettrico in base alla Legge 46/90 predisposizione della messa a terra e dell'interruttore differenziale, quest'ultimo comunemente chiamato salvavita.

Trattandosi di fabbricati esistenti è evidente che il deterioramento dell'immobile, al quale lo stesso va soggetto per il semplice passare del tempo od anche per cattiva manutenzione, può aver pregiudicato i requisiti rispettati in origine necessitando i relativi ripristini in ottemperanza alle norme vigenti.

La mancata presentazione del certificato di agibilità comporta l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 24 del D.P.R. 380/2001, comma 3).

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